di Ilaria di Cugno e Martina Da Ros
Era il 5 febbraio scorso quando l’hashtag #FreeBritney è ricomparso copiosamente su tutti i social. In circolazione da una decina d’anni, giusto un mese fa è tornato a smuovere gli animi dopo l’uscita su FX e su Hulu di Framing Britney Spears la docu-inchiesta della serie The New York Times Presents curata a livello televisivo dal Times, disponibile in Italia in streaming su discovery+.
Enfant prodige e volto di Disney Channel, il successo della Principessa del pop esplode globalmente nel 1998 grazie a …Baby one more time, quando Britney non ha ancora diciassette anni. Da subito ipersessualizzata, non solo nei video musicali, ma anche negli spot pubblicitari e soprattutto nelle interviste, Spears inizia a diventare un vero e proprio fenomeno, la cui vita privata è messa completamente alla mercé del grande pubblico.
Basti pensare alla relazione con Justin Timberlake e alle ripetute domande sulla sua probabile o meno verginità o alle continue violenze verbali dopo la rottura tra i due e l’uscita del brano Cry me a river dello stesso Timberlake e le conseguenti incessanti accuse di un probabile tradimento di Britney.
Poi il matrimonio con Kevin Federline, i due figli, il divorzio lampo e una quotidianità costantemente invasa dai paparazzi.
Spears non riesce a vivere serenamente, viene costantemente accusata di essere una cattiva madre, entra e esce da cliniche riabilitative e psichiatriche, le viene tolto l’affidamento dei figli. È così che nel 2007 arriva ad avere un vero e proprio breakdown, segnato visivamente dai suoi capelli rasati.

A seguito di un TSO, nel 2008 Britney Spears viene messa sotto la tutela legale del padre, da sempre fortemente ossessionato dagli affari della figlia, perdendo il controllo sulle proprie finanze, sulla propria carriera e sulla propria vita privata. L’accordo prevede infatti il totale controllo di Jamie Spears sui contratti lavorativi della figlia, sulle sue proprietà e sulle visite che riceve. Può richiedere ordini restrittivi contro coloro che a suo parere minacciano la stabilità della figlia e ogni suo acquisto deve essere annotato in registri di spese annuali a disposizione del tribunale.
Nel 2018 Spears sembra aver riacquistato una certa serenità, ma la conservatorship non viene revocata.
Un’improvvisa ricaduta la costringe ad entrare in una struttura psichiatrica e la messa in circolazione di alcune foto in cui sembra intontita da farmaci fa preoccupare i fan che iniziano a manifestare dubbi sui social rendendo virale l’hashtag #FreeBritney e riportano in auge alcune registrazioni di Rolling Stones risalenti al 2008 nelle quali la cantante diceva di sentirsi prigioniera e rivendicava la propria libertà.
Le contestazioni sulla tutela legale sono riemerse nel gennaio 2019, quando Spears ha cancellato uno show a Las Vegas, a causa di problemi di salute del padre, al quale è seguito un periodo di allontanamento dai social comunicato ai fan tramite Instagram.
Se tuttavia Spears ha sempre negato qualsiasi accusa di dissidio col padre, per la prima volta lo scorso anno in un’udienza in tribunale ha chiesto di riconsiderare la conservatorship, dichiarando di essere fortemente spaventata e richiedendo il subentro della madre.
Ma come nasce la tutela legale del patrimonio?
Detta appunto anche conservatorship, si tratta di uno strumento legale americano deciso da un tribunale che prevede che le finanze e/o le decisioni relative alla vita di una persona considerata inabile passino nelle mani di un adulto a lei vicino.
Solitamente applicata a persone anziane o disabili mentali, e soprattutto con poche o nessuna speranza di guarire, viene stabilita per periodi di tempo limitati, ma nel caso di Spears è stata resa permanente.
Quello della Principessa del pop tuttavia non è l’unico caso di tutela legale nello showbiz: se siete stati bambini o adolescenti nei primi anni Duemila, di certo non saranno a voi sconosciuti nomi come Amanda Bynes e Lindsey Lohan, attrici che ai loro esordi sono state talentuose, promettenti, simpatiche, divertenti e spumeggianti, ma che non hanno retto la celebrità e le sue conseguenze, dissolvendosi, se non nel nulla, in account Twitter controversi e/o profili Instagram dal successo trascurabile.
Amanda Bynes nasce il 3 aprile 1986 a Thousand Oaks, California, area metropolitana di Los Angeles, in un contesto molto benestante e agiato.
Il padre, ex commediante, aveva contatti con talent scout i quali la proposero per alcuni programmi di Nickelodeon come personaggio secondario fin da quando era piccola. Nel 1999 la rete, vedendone il potenziale, le propone la conduzione di uno show tutto suo, il The Amanda Bynes Show. La giovane talentuosa ha solo tredici anni e già inizia a confrontarsi con un’adolescenza diversa dalla ordinarietà, piena di foto, copioni e successo dirompente. Nel 2002 si approccia anche al mondo del cinema, dal quale avrà il più grande successo nel 2007 con Hairspray, seguito nel 2010 da Easy A.

Fino a qui, niente di male.
Nel 2010 però Bynes annuncia anche il ritiro dalle scene, nonostante la stampa non abbia alcuna intenzione di lasciarla andare. Le riviste immortalano tutti i suoi disagi ed eccessi, le dipendenze da sostanze stupefacenti, i disordini alimentari e le cause giudiziarie, fino a quando, nel luglio 2013, la giovane ex attrice viene ospedalizzata con una diagnosi psichiatrica e i suoi genitori ne ottengono la conservatorship. Nonostante ciò, Bynes twitta frasi sgradevoli e inopportune contro altri VIP e accusa il padre di violenze sessuali, per poi negare tutto e dichiarare che la colpa di tali affermazioni risieda nel microchip impiantatole nel cervello.
Da questa svolta iniziano due teorie sul singolare comportamento di Bynes: la prima riguarda una probabile diagnosi di disturbi bipolare in fase depressiva, che avrebbe spinto la giovane a comportarsi in modo pericoloso per se stessa, anche se alcune fonti riportano che nel luglio 2013, dopo che aveva dato fuoco al vialetto di una signora, Bynes venne ricoverata per schizofrenia e non per disturbi bipolari.
Penserete che la seconda teoria si riferisca al padre o a una situazione di violenza domestica, ma si tratta invece del “Progetto MK Ultra”, un programma illegale e clandestino di esperimenti sugli esseri umani attivo negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Le vittime sono state cittadini statunitensi e canadesi del tutto inconsapevoli e secondo questa teoria l’industria hollywoodiana avrebbe scelto Amanda Bynes come vittima perché era una ragazzina talentuosa e amata dal pubblico, piena di successo, che sarebbe stata utile come strumento di manipolazione. Sempre secondo questo ragionamento, qualcosa fallì nella programmazione cerebrale su Bynes e ciò la portò al collasso.
Vi è poi il nome di Dan Schneider, produttore di Nickelodeon, accusato di aver giocato un ruolo fondamentale nel declino psicologico di Bynes. Schneider è balzato alla cronaca nel 2018, nel pieno del movimento #MeToo, a causa di diverse accuse di molestie sessuali che hanno segnato il suo allontanamento dalla rete.
Al momento Amanda Bynes ha concluso un periodo di studi alla FIDM di Los Angeles, un’accademia di moda, si dichiara sobria e pronta a tornare alla recitazione. Vive in una casa “controllata” insieme ad altre persone, il cui obiettivo è rimanere sobrie, ha presentato con delle storie Instagram il suo nuovo fidanzato nonché promesso sposo e, nel febbraio 2020, ha parlato della sua conservatorship: l’ex attrice è infatti sotto alla tutela legale della madre e non può in effetti nemmeno sposarsi senza che vi sia il permesso della genitrice. L’ex attrice ha dichiarato di voler chiedere una restrizione sulla conservatorship a un giudice per gli elevati costi dei trattamenti psicologici a cui viene sottoposta senza che, a suo dire, ve ne sia bisogno. Si attendono sviluppi sulla vicenda.
Connotata da una vita privata travagliata e lanciata in pasto alla stampa, ma ben lontana dalle logiche della conservatorship è invece Lindsay Lohan, anche lei considerata una bambina prodigio.
Lohan era un’attrice adolescente talentuosa, che aveva raggiunto il successo con pellicole diventato poi iconiche come Genitori in trappola (1998) e Quel pazzo venerdì (2003) quando ancora era una stellina Disney e Mean Girls (2004). Quest’ultima ha segnato il suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta, tappa che oltre a implicare sia una sessualizzazione sia diverse critiche per il cambiamento del suo corpo, ha comportato anche il suo tentativo di liberarsi dei panni della “brava bambina” per ricercare una serietà professionale in grado di qualificarla come attrice adulta.
Tra le prime polemiche assurde che la collocano nell’occhio del ciclone dei media c’è la crescita del suo seno durante gli ultimi anni dell’adolescenza, come se fosse sconvolgente che il corpo di una persona possa cambiare con la crescita. Lohan sceglie l’opzione dell’autoironia per contrastare i primi pettegolezzi, ma i media non pensano di demordere e si accaniscono contro la sua, all’epoca, presunta dipendenza da cocaina e si interessano alla vita extraconiugale del padre della ragazza, nel frattempo arrestato per possesso di droga, guida in stato di ebrezza e reati finanziari.
Nel 2005, dopo alcune critiche da parte di riviste per i ritardi sui set e le battute dimenticate, creando così un personaggio che lei stessa negava appartenere alla realtà, l’attrice dichiara a Vanity Fair di soffrire di anoressia e bulimia anche in seguito a tutta l’attenzione mediatica invadente e pressante.
La sua carriera inizia a incassare battute di arresto proprio in quel periodo, complici anche i genitori che, pur di far parlare della famiglia, accolgono con entusiasmo qualsiasi ospitata televisiva, anche quando la figlia chiede privacy per potersi disintossicare in un ambiente protetto, e proponendo reality incentrati sulla propria vita.
I suoi problemi con le dipendenze da sostanze stupefacenti iniziano a peggiorare e, di conseguenza, anche i problemi con la legge, che la vedono implicata dal 2007 al 2015 in svariati reati collegati soprattutto al possesso o consumo di droga.
Nel 2013, in vista della promozione di Scary Movie 5, Lohan è ospite di David Letterman nel suo popolare talk-show. L’intervista è tornata a circolare in rete proprio in questi giorni, in seguito all’uscita del documentario Framing Britney Spears, perché vede Lindsay Lohan in uno stato di evidente disagio mentre il conduttore incalza senza sosta chiedendole quante volte sia già stata in riabilitazione, da cosa debba disintossicarsi e se beva troppo.
Per sfuggire l’attenzione mediatica e il crollo della carriera da attrice, Lohan si converte da attrice a imprenditrice nell’isola greca di Mykonos e, approfittando della nota vita notturna nota dell’isola, apre un locale-discoteca che però vende dopo qualche anno. Nemmeno nelle acque più calme del Mediterraneo infatti la giovane è riuscita a trovare un po’ di quiete: nonostante si fosse allontanata dalla dipendenza e della famiglia così invadente, si imbatte in una relazione violenta con un ereditiere russo. Le liti della coppia sono state diffuse dai profili social di alcune riviste sia inglesi sia statunitensi, mettendo così ancora una volta la vita privata di Lohan in un vortice di tossicità e invadenza.
Che conclusioni si possono trarre dinanzi a tre biografie senza (per ora) un lieto fine, ma che hanno così tanti punti in comune?
Con molta onestà confideremo che è molto difficile non giudicare i contesti familiari e in particolare i genitori: l’ambiente in cui cresciamo ci influenza per i rapporti col mondo circostante e ci plasma come adolescenti o giovani adulti e non è scontato che sia facile o addirittura possibile liberarsi dalle imposizioni, implicite e non, che ci hanno accompagnato fin dall’infanzia.
Cosa sarebbe successo se un’attrice dotata come Lindsay Lohan fosse stata affiancata da genitori più riservati e pacati? O se Britney Spears non fosse stata incoraggiata fin da bambina ad apparire in programmi televisivi, ma se avesse scoperto più tardi, a un’età più adulta e consapevole, la sua passione per la musica?
Il problema è che formulare ipotesi su come sarebbe potuta andare se non giova a nessuno, tantomeno alle protagoniste di questo articolo che noi non conosciamo, ma delle quali abbiamo guardato la vita scorrerci davanti come una serie TV, osservando gli effetti dei drammi immortalati sui loro corpi o bloccati in espressioni di tristezza, tutto documentato da fotocamere, in ogni momento.
I disturbi mentali fanno paura, così come è spaventoso anche solo immaginare di non avere diritto di opinione sulla propria vita, ma forse ciò che terrorizza di più è l’idea di essere lanciati nella mischia senza avere qualcuno al nostro fianco in grado di spalleggiarci e sostenerci nonostante tutto.
Fonti:
Framing Britney Spears – streaming in italiano
The Long Fight to ‘Free Britney’
#FreeBritney: tutto quello che dovete sapere sul movimento
Il movimento che vuole “liberare Britney Spears”